Ancona e simulacro di N. S. del Rosario (ante 1628). Legno intagliato, dorato e policromato con medaglioni a rilievo, scomparti pittorici e statua policroma damaschinata e dorata. La configurazione strutturale dell‘Ancona del Rosario, riferibile ad un manierismo più che tardo, si ricollega a numerosi esempi napoletani di polittici prevalentemente pittorici, rappresentanti i Misteri del Rosario.
La sua peculiarità è data soprattutto dall’importanza che nel contesto assume la decorazione scultorea: i medaglioni a bassorilievo con i Misteri disposti intorno alla nicchia con la statua della Vergine col Bambino, le figure dei due donatori inginocchiati (o forse S. Francesco e S. Domenico?) e l’Incoronazione della Vergine nel fastigio; i comparti pittorici, disposti sotto la nicchia sono in rapporto modulare con la sua base e con i medaglioni, raffigurano rispettivamente una michelangiolesca Pietà e due gruppi di personaggi inginocchiati ai lati di un simbolico albero. Tutta la composizione risulta estremamente coerente e dovuta ad un unico autore: il carattere elementare dei rilievi e l’arcaismo degli scomparti pittorici, nonché le analogie col Tabernacolo di Monserrato e con l’Ancona di S.Giorgio di Suelli, inducono ad attribuire l’opera allo scultore Juan Angel Puxeddu, attivo a Cagliari sin dal 1616.
Il simulacro della Madonna col Bambino è realizzato con la particolare tecnica decorativa dell’ estofado de oro[1] ( pregevole tecnica d’importazione spagnola che imita nell’apparato decorativo le vesti ed i tessuti, ed utilizzata da maestranze sarde, spagnole e napoletane per tutto il Seicento, di cui si possono trovare altri preziosi esempi nell’isola).
Nella nicchia centrale centinata dell’ancona lignea del Rosario, di cui costituisce il fulcro compositivo ed iconografico, la Vergine ricalca l’impostazione del dipinto retrostante: animata da un leggero scarto laterale del corpo rispetto all’asse, una lunga veste dorata e cinta da un fiocco, il manto damaschinato drappeggiato intorno al corpo, il velo sul capo, la Madonna regge con un braccio il Bambino benedicente, e porge la mano destra in cui tiene il grano del rosario. Sul capo della Vergine e del Bambino coroncine in argento di foggia imperiale, più tarde rispetto ai manufatti lignei. Il simulacro è alterato nelle proporzioni anatomiche soprattutto nella parte inferiore del corpo, troppo corta rispetto alla superiore, e nelle enormi mani.
[1] Estofado de oro: Il termine estofado designa la fase successiva alla doratura nel processo di decorazione policroma di una statua. Su questa, infatti, una volta applicato come base lo strato di foglie d’oro, venivano stesi i colori a tempera; dopo l’asciugatura si raschiava il colore con una punta laddove si desiderava che apparisse l’oro sottostante. L’utilizzo di lacche o tempere lucidate, con colori di forte impatto visivo, poste in contrasto quasi plastico con lo splendore dell’oro, è senza dubbio la caratteristica più appariscente della statuaria di cui si tratta, tale da riuscire in alcuni casi a far dimenticare la modestia dell’intaglio ligneo. Il grande protagonista è l’oro. La ricca ornamentazione e la godibilità cromatica si aggiungono alla tridimensionalità dei manufatti scolpiti, accrescendone la naturalezza. La meticolosità e l’accuratezza nei dettagli, fatto salvo il rispetto per l’iconografia di ogni personaggio sacro rappresentato, rivelano la particolare attenzione che veniva riservata alla cura per l’abbigliamento. Spesso i santi vestono preziosi paramenti liturgici del tempo, talvolta abbigliati secondo il più elegante gusto dell’epoca.
Bibliografia essenziale M. G. SCANO, Pittura e scultura del ‘600 e del ‘700, Ilisso, Nuoro 1991. AA.VV., ‘Estofado de oro’. La statuaria lignea nella Sardegna spagnola, Edit. Ianus srl, Cagliari 2001.
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